nella versione teatrale di Pier Paolo Pasolini
Regia Nicasio Anzelmo
con Domenico Pantano, Nicolò Giacalone, Giovanni Di Lonardo, Paolo Ricchi, Annalisa Amodio, Fatima Romina Alì, Giacomo Mattia, Claudia Salvatore.
Scene e costumi: Angela Gallaro Goracci
Musiche: Giovanni Zappalorto
Note di Regia :
La scelta di portare in scena una rielaborazione pasoliniana del 1963 di un testo plautino è già di per sé una scelta coraggiosa per vari motivi. Fra questi motivi sicuramente ci sono il fascino della scrittura del poeta e l’idea che lo stesso autore fa trasparire in fase di ambientazione ed uso della lingua. L’uso del dialetto romanesco consente a Pasolini di ricreare le atmosfere popolari tanto care a Plauto, recuperando quella spontaneità tipicamente plebea , la sola capace di pulsare di vita propria a testimonianza di una vitalità perduta nell’esercizio del teatro colto in voga in quegli anni. Una ricerca di un teatro popolare capace quindi di creare uno scambio ammiccante e dialogante tra il testo e il pubblico. Pasolini ha cercato di ridare anima e vita ad un testo che faticava già di suo a vivere di vita propria. Il dialetto romanesco è stato quindi un mezzo per raggiungere tale scopo e con questo mezzo è riuscito a dipingere uno stralcio di società degli anni 60, radicata in una periferia degradata e ai margini dei fasti della città. Una rielaborazione quasi politica nel disegnare una umanità ai margini di una grande città, in questo caso Roma. Questo allestimento ha cercato di indagare ancora più approfonditamente quell’umanità colorata e variegata tanto cara a Plauto, come a Pasolini, pur senza abbandonare la natura farsesca e ridanciana che si sviluppa attorno a Pirgopolinice e Palestrione (padrone e servo) anche se mutata in una pungente commedia sociale. I pilastri plautini sono ben radicati nella tessitura drammaturgica di Pasolini in cui gli intrighi amorosi e le beffe dei servi fanno da perno a tutta l’azione disegnando una Umanità bislacca in cui ogni personaggio agisce per il suo solo tornaconto. Gli anni sessanta, in cui abbiamo ambientato la commedia, erano anche gli anni in cui gli intellettuali si domandavano cosa fosse il teatro e quale teatro gli spettatori si aspettassero. Lo stesso Pasolini dice nel suo Manifesto per un nuovo teatro “Nuovi argomenti”, gennaio-marzo 1968(…) Il teatro che vi aspettate, anche come totale novità, non potrà essere mai il teatro che vi aspettate. Infatti, se vi aspettate un nuovo teatro, lo aspettate necessariamente nell'ambito delle idee che già avete; inoltre, una cosa che vi aspettate, in qualche modo c'è già. Non c'è nessuno di voi che davanti a un testo o a uno spettacolo resista alla tentazione di dire: “Questo È TEATRO”, “Questo NON È TEATRO”, il che significa che voi avete già in testa, ben radicata, una idea del TEATRO. Ma le novità, anche totali, come ben sapete, non sono mai ideali, sono sempre concrete. (…).
Noi abbiamo accolto l’idea di Pasolini e l’abbiamo tradotta per la scena. Un’ idea secondo la quale “per recuperare qualcosa di vagamente analogo al teatro di Plauto, di così sanguignamente plebeo, capace di dar luogo a uno scambio altrettanto intenso, ammiccante e dialogante, tra testo e pubblico “ era necessario un richiamo all’avanspettacolo, molto in vaga in quegli anni con interpreti straordinari come Macario, Totò, Anna Magnani, Walter Chiari, Wanda Osiris e tanti altri.
Nicasio Anzelmo